8 Ottobre 2024

Primo capitolo “Le storie che ci raccontiamo”: https://www.giadazinzeri.it/primo-capitolo-de-il-mondo-dei-cigni-neri/

Data di uscita: ottobre 2022.

Trama:

Virginia, giovane ragazza che vive nella capitale italiana, si districa tra i problemi della sua vita alla ricerca del suo posto nel mondo. Vorrebbe studiare Medicina alla Sapienza di Roma, ma suo padre è morto molti anni prima, lei vive col nonno malato di ictus e la madre si è trasferita dall’altra parte della città, tra l’altro al fianco di un uomo manesco di cui è vittima.
La Salvezza – ironia della sorte – è un’organizzazione segreta del governo italiano che si presenta alla sua porta con un’offerta: in cambio di un lavoro pericoloso, le darebbe comunque una dimensione in cui vivere, soldi, e la possibilità di salvare delle vite, anche se non operando come dottore come ha sempre sognato. Come se non bastasse, alla Salvezza scopre di essere stranamente collegata, o quantomeno di avere qualcosa in comune ad una ragazza rinchiusa nel manicomio dell’organizzazione, e di cui si vocifera che preveda il futuro tra un delirio e l’altro.

La società, intanto, è diversa da quella in cui viviamo noi: l’evoluzione tecnologica ha permesso di trasformare gli assistenti virtuali in veri e propri robot dall’aspetto umano che sono stati diffusi nella maggior parte degli Stati del mondo, grazie ad una multinazionale italiana, la Da Vinci. La vicenda fa dibattere l’opinione pubblica tra allarmisti e favorevoli.

Capitolo: Secondo.

Titolo secondo capitolo: Prima che cali il buio.

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Secondo capitolo

Prima che cali il buio

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Virginia era consapevole che tutti, nella loro vita, arrivano ad un punto in cui si trovano costretti a dover prendere delle scelte importanti e da esse definiscono il loro futuro e se, dopo tutto, potranno avere una buona opinione di sé stessi.

Ci pensava già da tempo ma la sera prima, durante una sagra, era diventata una riflessione opprimente che l’aveva alienata dalla folla.

Tutto era cominciato quando, a metà serata, aveva visto Achille socializzare con dei quarantenni che nel loro quartiere erano diventati famosi per i loro trascorsi con l’eroina e i problemi con la polizia. E aveva capito, spiandolo, che avrebbe sempre scelto quella vita. Probabilmente sarebbe arrivato a quarant’anni a vivere anche sotto un ponte pur di mantenersi la dipendenza dalla droga, per quanto fosse una sorte malaugurata.

Alla festa aveva visto anche Ofelia in compagnia di Vittorio. E aveva capito che la donna adorava il compagno con un trasporto tipico delle fiabe. Dal suo punto di vista quello era il suo lieto fine, anche se il prezzo da pagare era qualche livido.

Ginevra era troppo piccola per essere definita ancorata ad una scelta di vita precisa, ma Virginia temeva che avrebbe sfruttato male la sua avvenenza e avrebbe preferito sposarsi con un uomo ricco per condurre una vita agiata anziché lavorare per guadagnarsi la fortuna, e la sua parola spesso non era abbastanza forte per educarla.

Le scelte in fatto di vita erano importati: era assiomatico.

Virginia cercava di ripetersi che aveva preso una decisione giusta e valorosa accettando di lavorare per la Salvezza. Dal suo lavoro dipendeva la vita di molte persone, di tutta la popolazione globale. E questo, forse, era abbastanza per farla sentire completa.

Forse era quello il suo destino.

Da due settimane a quella parte si recava ogni giorno alla sede della Salvezza per gli allenamenti. La sottoponevano a corsi di pugilato, kickboxing e taekwondo. Aveva iniziato a maneggiare le armi da fuoco da pochi giorni, anche se si trattava solo delle pistole per il momento.

Erano state settimane intense e il prezzo da pagare erano stati gli incubi, i quali avevano contribuito a farle venire tanti dubbi.

Quel pomeriggio era allungata sul suo lettino in giardino, sotto il sole, ad assorbire quanta più vitamina D potesse cercando di rilassarsi.

Era ancora mezza assopita quando un urlo le fece aprire gli occhi. Davanti a lei c’era un uomo con il volto sfigurato. Aveva fili elettrici che gli spuntavano dalla pelle, probabilmente era un robot ma i suoi occhi erano liquefatti e c’erano dei vermi che gli stavano consumando la poca carne che gli era rimasta a coprire il sistema elettronico.

Virginia urlò, pensò di recuperare la pistola che aveva nascosto sotto la sedia sdraio ma non riuscì a muovere un muscolo. Era come se fosse già morta.

L’uomo ne approfittò e le si avventò addosso.

Virginia saltò a sedere, accorgendosi che aveva sognato. Il sole che le batteva in viso le aveva fatto arrossare la pelle, facendo scomparire le efelidi. Controllò che sotto la sedia sdraio ci fosse la pistola: sospirò vedendo che era ancora lì.

La portava sempre con sé e Noel le aveva detto di fare attenzione che nessuno la scoprisse in un luogo pubblico, anche se la Salvezza le aveva rilasciato una licenza speciale per permetterle di andare in giro con un’arma da fuoco era sempre meglio evitare spiacevoli inconvenienti.

Da una parte era grata di averla con sé ma il prezzo da pagare per le pistole e gli allenamenti erano gli incubi.

E lei aveva sempre paura quando calava il buio.

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Noel si nascose dietro una cripta, poi tirò fuori la pistola e si sporse appena dal punto dove si era nascosto per sparare in direzione del robot che gli aveva rovinato il viso. I suoi pugni gli avrebbero provocato delle notevoli contusioni facciali. Era agguerrito a vendicarsi e se non fosse riuscito a mirarlo e distruggergli ogni circuito con i proiettili lo avrebbe ammazzato con le sue stesse mani.

Lo mancò e il robot ricominciò a sparare verso di lui. Noel si nascose in fretta dietro la lapide.

Ci era mancato poco che lo colpisse.

Gli spari cessarono e nel cimitero calò il silenzio.

Noel rimase in attesa della prossima mossa, puntando già la pistola verso il punto dove sarebbe potuto sbucare il robot.

Probabilmente c’era così tanto silenzio perché si stava avvicinando lentamente per prenderlo di sorpresa.

Poiché fece un movimento sbagliato e produsse rumore, forse perché era inciampato, Noel saltò fuori tempestivamente e iniziò a fare fuoco. Colpì il robot in testa e lui cadde a terra.

Sospirò di sollievo: anche quella missione era fatta.

Sentì un rumore improvviso alle spalle perciò si girò rapidamente e puntò la pistola contro la persona che lo stava raggiungendo.

Gabriele alzò le mani. «Calma, amico, sono io!».

Noel abbassò la pistola. «Non venirmi mai più alle spalle… Anche se, forse, un proiettile in testa è l’ultimo dei tuoi problemi», disse ridendo.

«Fottiti», ribatté il collega, guardando con disgusto il fango che copriva tutti i suoi vestiti. «Sono caduto in una pozzanghera per lottare contro quel maledetto».

«L’hai fatto fuori?».

«Non sarei qui altrimenti».

Noel si poggiò contro il muro della cripta e si sedette per riprendere fiato. Lottare contro i robot fino all’ultimo sangue era sempre un lavoro estenuante. Gabriele si andò a sedere vicino a lui, ma appena Noel lo guardò male per il fango che aveva ancora addosso prese le distanze.

«Ci pensi mai al futuro?», sussurrò il biondo.

Noel ridacchiò. «Mi prendi in giro?».

«Ridi quanto voi, ma a volte mi chiedo se sopravvivremo a tutte queste missioni, se la Salvezza vincerà la guerra contro la Rivalsa e se così fosse cosa ne sarà di noi».

«Cosa ti aspetti che ci sia, un grande premio ad attenderti?».

«Non lo so…», Gabriele esitò e ci pensò bene. «Magari essere ringraziati dallo Stato e andare in pensione anticipata!».

«Dubito che sia così facile», replicò Noel, che tra i due era sempre stato quello più pessimista. «Anche se la Salvezza dovesse vincere – ed è pura utopia – nessuno ti regalerà niente. Non ci sarà un premio per tutte le volte che abbiamo rischiato la vita».

«Stai cercando di dirmi che dobbiamo rischiare la vita per bontà d’animo?».

«In realtà dubito proprio che vinceremo. Questo sistema sta implodendo. La tecnologia è il nemico, ma siamo stati noi la causa».

Gabriele inspirò, lo sguardo perso nel macabro orizzonte che avevano davanti. L’immagine delle lapidi non era molto rasserenante, specie alla luce delle riflessioni che avevano appena fatto, e Noel non era esattamente il miglior compagno quando sei di cattivo umore per sollevare il morale. Era molto più bravo ad annientarlo completamente.

Rimasero in silenzio per qualche altro minuto, prima che decidessero che era il momento di tornare alla sede.

«Dobbiamo sbrigarci, alle quattro abbiamo il primo caso con Virginia», ricordò Gabriele, cercando di pulire il suo orologio che si era sporcato di fango.

«Oh, mi ero scordato», sbuffò Noel. Con tutti i problemi che aveva già, non era entusiasta di avere quella responsabilità. Occuparsi di una recluta era un lavoro terribile.

«Fare il supervisore ti riesce bene», lo prese in giro l’amico.

«Te lo dico io cosa sta succedendo, vogliono punirmi per la storia di Lia», disse Noel amareggiato.

«La gente ci ricorderà sempre per i nostri errori».

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«Oggi hai il tuo primo caso, Virginia!», annunciò Adamo.

La ragazza lo guardò sorpresa. Non si era aspettata tanta fiducia così presto.

Non riusciva nemmeno a dormire la notte a causa degli incubi sui robot, pensare che sarebbe riuscita a gestire uno scontro diretto o una missione in solitario le sembrava pura follia.

«Qualcosa non va?», domandò il ragazzo, vedendola esitare.

La ragazza si riprese. Non voleva dare un’impressione sbagliata, come se non fosse pronta o troppo debole psicologicamente e fisicamente, come aveva insinuato Noel la prima volta che si erano conosciuti.

«No, sono pronta per iniziare», esclamò, cercando di calcare il tono sull’entusiasmo.

«Non montarti la testa, ci saranno Noel e Gabriele con te, più un’altra squadra di agenti. Non mandiamo le reclute al macello al loro primo caso».

«Va bene», rispose lei, molto più sollevata al pensiero che avrebbe lavorato con i colleghi.

In quel momento furono proprio Noel e Gabriele a fare ingresso nell’ufficio, seguiti da Zurzo.

Zurzo era il capo del loro dipartimento e faceva da tramite tra loro e Maddalena, assegnando tutte le direttive che gli comunicava la donna. Si trattava di un uomo molto alto, che aveva abbondantemente superato i cinquant’anni, anche se si portava benissimo l’età, di stazza notevole, pretenzioso e severo sul lavoro.

«È un piacere vedere che ci tieni alla puntualità, Virginia, a differenza di qualcun altro…», dichiarò l’uomo, chiaramente alludendo ai due ragazzi che erano appena tornati da una missione.

Virginia gli sorrise cordiale, per poi spostare gli occhi sul viso del suo supervisore.

«E questi da dove spuntano?», domandò osservando i lividi sul volto di Noel.

«Va’ al diavolo, Virginia, mentre tu ti facevi le unghie in palestra io ho affrontato due robot!».

«Affrontato? Devono averti dato parecchio filo da torcere», continuò ridente.

In quelle due settimane erano riusciti a sotterrare l’ascia da guerra per un rapporto più morbido e confidenziale, ma non avevano mai rinunciato alle frecciate e alle provocazioni. Nonostante ciò, Virginia aveva iniziato ad apprezzare il supervisore che le avevano assegnato, con cui non aveva bisogno di tenere un rapporto professionale, freddo e impostato. Tra un discorso serio e l’altro potevano fare dell’ironia e distrarsi con un po’ di leggerezza, anche quando Virginia gli dava pressioni per farsi raccontare le sue esperienze con i robot.

«La ragazza ha ragione, oltre che lenti non siete stati neanche efficienti», continuò Zurzo, con tono sarcastico. «Credete di riuscire ad essere diligenti nel lavoro che vi sto per assegnare?».

Noel alzò gli occhi al cielo, seccato da tutte quelle critiche, perciò Gabriele capì che toccava di nuovo a lui essere cortese con il superiore.

«Certamente, ci spieghi il caso».

Virginia guardò con attenzione l’uomo. Il peso dell’ansia per la sua prima missione non aveva ancora smesso di pesarle sullo stomaco, ma era curiosa di scoprire cosa l’aspettava.

«Alcuni robot della Rivalsa stanno disseppellendo corpi in Veneto, dalle parti di Venezia. Tutto ciò va’ avanti già da una settimana, ma abbiamo i prossimi cimiteri che hanno in programma di violare».

«Come fate a saperlo?», chiese Virginia.

«L’agente Jones non te l’ha spiegato?», domandò Zurzo, guardando subito severamente Noel.

«Abbiamo delle spie infiltrate nella Rivalsa», intervenne lui.

«Oh, un lavoro difficile», annuì la ragazza, sorpresa. Per quanto dovessero essere difficili le cose per lei, o per Noel e Gabriele che erano tornati ammaccati, non osava immaginare cosa passassero gli agenti che facevano la spia nella Rivalsa e che rischiavano la vita ogni giorno.

«Già, ma grazie a loro riusciamo a sabotare molte missioni della Rivalsa… Il più delle volte», continuò Zurzo. «Pensiamo che i robot stiano disseppellendo corpi per effettuare nuovi esperimenti sugli umani. Di solito la trasformazione in robot la fanno su chi è in coma o sta per morire, ma essendo poche le persone predisposte, potrebbero aver deciso di cercare una soluzione per rendere robot anche quelli biologicamente morti…».

«Ma è… è impossibile!», lo interruppe Virginia. «Alla base della trasformazione degli umani in robot c’è proprio la speranza di creare degli esseri viventi con la forza da robot e il modo di pensare umano! Se rendono robot un cadavere, cosa cambierebbe dai robot domestici costruiti solo con la tecnologia?».

«La studentessa sta crescendo!», Noel ne approfittò per punzecchiarla.

Lei lo ignorò e si rivolse al capo del dipartimento.

«Dovresti imparare dalla ragazza, Noel», lo rimbeccò Zurzo. «È una domanda sensata, Virginia, non abbiamo risposte ma forse la Rivalsa ha buoni motivi per pensare di poterci riuscire. In ogni caso, vanno fermati, sia per motivi etici che strategici».

«Quali sono le direttive d’azione?», domandò Gabriele.

«Dovrete trovarvi nello stesso luogo alla stessa ora. Quando saranno al cimitero per disseppellire i cadaveri, voi sarete già lì».

«Ma non possiamo impedirgli di prendere quei cadaveri per sempre», obiettò Noel, che reputava la missione impossibile nel luogo periodo.

«No, infatti. Interverrete dopo che avranno già disseppellito i corpi. Mentre voi combatterete i robot, i vostri colleghi inietteranno nei cadaveri sostanze dannose. Vedendo fallire i prossimi esperimenti la Rivalsa potrebbe perdere interesse per il progetto reputandolo impossibile».

Virginia era rimasta a metà strada. Le faceva senso sentire così tante volte nello stesso discorso la parola cadaveri.

«È un piano fragile, capo, i robot della Rivalsa potrebbero accorgersi di chi farà l’iniezione», contestò Noel.

«Per questo è importante che agiate con la massima attenzione possibile, sono stato chiaro?». Per Zurzo il colloquio era concluso. «Riferisco il caso anche ai vostri colleghi, partirete domani alle sette per Venezia».

Virginia, che aveva segnato tutte le cose importanti in un taccuino, scrisse anche l’ora di partenza, pensando che dal giorno successivo la sua vita sarebbe cambiata definitivamente, più di quanto non avesse già fatto.

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Il giorno dopo Virginia si alzò alle cinque e mezzo del mattino per andare a correre. Come al solito portò la pistola con sé, anche se la sua paura di essere aggredita continuava a dimostrarsi infondata.

Corse per appena mezz’ora, poi tornò a casa e si preparò per quella che si prospettava una lunga giornata. Salutò Paride, ricordandogli come al solito le sue mansioni anche se non ce n’era bisogno e lo ringraziò educatamente. Il suo robot domestico sorrideva sempre quando sentiva tutta quella cortesia.

Era sempre preciso e efficiente e svolgeva col massimo della scioltezza tutti i suoi lavori senza mai accusare la stanchezza, eppure Virginia non riusciva ancora a considerarlo un semplice elettrodomestico.

Smise di pensare a Paride quando arrivò all’aeroporto. Gabriele e Noel erano già lì che la aspettavano, insieme ad un team composto da altri tre agenti.

Anche se era un viaggio di lavoro, un lavoro duro e pericoloso peraltro, Virginia percepiva anche una scarica di eccitazione. Non aveva mai volato in vita sua.

«Sei rimasta sempre a Roma?», domandò Noel con una punta di stupore.

«A quanto pare», ribatté lei, secca.

«Tra tutte le città soffocanti che esistono al mondo, se dovessi scegliere una cupola in cui rinchiudermi Roma sarebbe la prima scelta», aggiunse il ragazzo, come offerta di pace.

«Da come parli sembra che tu ti sia sempre mosso, invece…».

«Qualcosa del genere», rispose lui, rimanendo sul vago.

Il cellulare della bionda suonò.

Virginia guardò il nome sul display, lesse “Achille” e sospirò.

«Pronto?».

«Dove cazzo sei finita? Il frigo è vuoto, e ho dovuto portare anche oggi tua sorella a scuola!», sbraitò Achille, irato.

«Te l’avevo detto che dovevo fare un viaggio di lavoro», rispose lei, cercando di rimanere calma.

«Un viaggio di lavoro?», ripeté Achille, esterrefatto. «Fai sul serio?».

«Prenderò i soldi ad inizio mese», chiarì Virginia, sempre più a disagio a dover affrontare quella conversazione davanti a Noel. Poteva chiudere la chiamata, ma avrebbe significato doversi sorbire doppia sfuriata la volta successiva.

«Me lo auguro, sorella», ribatté lui, con un velo di minaccia nella voce.

Prima che potesse rispondere aveva già riattaccato. Virginia inspirò, cercando di sbollire. Doveva essere concentrata sul lavoro, non pensare ai problemi personali.

«Se vuoi che mando una squadra di agenti a farlo sparire devi solo chiedere».

Virginia ridacchiò, ma evitò di guardarlo negli occhi. «Non preoccuparti, niente di nuovo», disse tranquilla. Aveva imparato che era inutile farsi ammaliare dalla rabbia e ammalarsi del suo identico male, l’unica soluzione era conservare la sua maturità.

Noel si astenne dal fare domande.

«Forse saresti dovuta rimanere a casa».

«Mi ritieni ancora una ragazzina da dover tenere in una campana di vetro?».

«Non è questo, ma il caso di oggi è impegnativo».

«Ecco cosa mi dà fastidio, il maschilismo! Sei esattamente come Achille!», esplose Virginia.

«Cosa?», fece lui, perplesso per quell’accusa.

«È così! Non devi per forza insultare una donna per essere maschilista, riesci ad esserlo benissimo facendomi capire che non mi reputi all’altezza del lavoro!».

«Non è questione di essere uomo o donna, si tratta di un lavoro pericoloso e tu hai visto soltanto la palestra e un paio di corsi in queste settimane!».

«Allora è arrivato il momento di rompere lo schema, non credi?».

Noel si arrese, preferendo lasciare decadere il discorso. Evitò di confessare a Virginia che la persona di cui non si fidava era lui stesso. Se doveva pensare solo alla sua vita era un conto, si assumeva le responsabilità dei rischi che correva, ma dover rispondere anche della vita di un’altra persona era di gran lunga peggio.

«Piuttosto…», riprese lei, dopo averlo fissato per un paio di minuti cercando di capire a cosa stesse pensando. «È già da ieri che aspetto per parlarti di una cosa».

«Di che si tratta?».

«Niente. È che… Ieri ho fatto un incubo su un robot».

«Mmh? Lo stress si fa sentire, piccola?», la schernì lui.

Virginia lo fulminò con lo sguardo. «Non è questo. È che… era in decomposizione, capisci? Come se il corpo, al di là dei circuiti elettrici, fosse appena stato disseppellito. Questo prima che Zurzo mi comunicasse il caso!».

Noel capì a cosa si riferisse e sospirò. Avevano affrontato quel discorso un milione di volte nelle settimane passate.

«Ho fatto male a parlarti di Giuditta».

«Niente affatto! Sono mesi che faccio sogni strani!», esclamò lei, sempre più esagitata. Per quanto assurda, c’era la concreta possibilità che fosse come quella ragazza.

«Questo non significa che sei come lei!».

«E questo chi te lo dice?».

«Giuditta è pazza, tanto per cominciare, ma ciò che dice si avvera sempre. Il fatto che tu hai sognato dei cigni neri come quelli di cui ha sproloquiato non vuol dire che sei una veggente, solo che hai mangiato qualcosa che ti ha fatto male», concluse lui, calcando il tono sull’umorismo.

Ma Virginia era ancora pensierosa. Doveva ammettere che la storia di Giuditta la stava ossessionando. «Secondo te cosa vuol dire che il mondo dei cigni neri è alle porte?».

«Ti sei imparata a memoria la profezia?», la schernì Noel.

«Rispondimi!».

«Non ne ho idea! Giuditta è picchiatella, però…».

«Però cosa?».

«Quella dei cigni neri è una teoria che esiste davvero», spiegò Noel, ammettendo che aveva fatto ricerche anche lui. «Di solito rappresentano un evento o un fatto non previsto che ha conseguenze su scala globale. Può voler dire tutto e niente…».

«Ma è già accaduta una cosa simile», ragionò Virginia, affascinata. «L’avvento dei robot, no? Ha sconvolto il mondo, ma nessuno aveva previsto le sue conseguenze, sia per come sta cambiando la gente sia per la nascita della Rivalsa».

«Hai sbagliato dipartimento, Virginia, quello che studia le profezie di Giuditta è il dipartimento di parapsicologia», rispose Noel con un sorriso pigro.

La ragazza ci pensò ancora, e decise di dare voce ai pensieri. «E se provassi a raccontare loro dei miei incubi?».

Noel la guardò come se fosse pazza, e anche con un po’ di rabbia, e Virginia si chiese cosa avesse detto di sbagliato. Noel guardò sia avanti che dietro per assicurarsi che nessuno dei loro agenti avesse sentito, poi riprese, con voce bassa ma autoritaria: «Tu non dirai loro niente, chiaro? Se decidessero di dare credito alle tue parole ti tratterebbero come una cavia da laboratorio e ti farebbero un milione di analisi!».

Virginia era confusa. «Ma… farebbero il loro lavoro, no? Nel senso, lavorano per la Salvezza…».

«Sì, ma rasentano il fanatismo», la interruppe Noel, guardandola con serietà letale. «Ti sottoporrebbero ad un centinaio di sedute per studiare la tua attività cerebrale quando sogni, cosa sogni, ti farebbero prelievi del sangue e mille altri test!».

La ragazza era ormai persuasa a dare retta al suo supervisore, però un pensiero l’aveva fatta sorridere. «Fino a poco fa stentavi a credere che io e Giuditta fossimo simili, e adesso non vuoi lasciarmi raccontare i miei sogni al Dipartimento di Parapsicologia?».

Noel non rise alla sua battuta, né le diede un’altra risposta sarcastica. «Credimi, Virginia, con alcune persone non vorresti avere a che fare. Mai. Anche se dicono di lavorare per il giusto».

La sua cupa sentenza concluse la conversazione. Virginia si arrese e spostò gli occhi sul panorama fuori dal finestrino, cercando di farsi rilassare dalla visione del cielo, delle nuvole e di quel poco di mondo che riusciva a vedere dall’alto.

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Mentre gli altri agenti si sistemavano nell’hotel in cui avrebbero soggiornato Virginia e Noel si recarono ad un appuntamento che aveva combinato loro Zurzo con la giunta comunale di Venezia per ottenere il permesso di introdursi fuori orario nel prossimo cimitero a rischio.

Se le persone normali non avevano idea di cosa fosse la Salvezza, i vari comuni o forze dell’ordine a volte venivano messe al corrente del lavoro. Nella maggior parte dei casi si presentavano come agenti segreti di un’organizzazione italiana simile all’FBI. Onde evitare di diffondere il panico o l’isteria di massa non veniva mai comunicato a nessuno il rischio che correva il sistema globale se la Rivalsa avesse vinto.

Anche in quel caso si presentarono come una squadra speciale che si occupava di casi bizzarri come quello che si stava verificando a Venezia.

Il comune sapeva benissimo che c’erano delle persone che stavano disseppellendo cadaveri: poiché minacciati, gli avevano dato la loro parola di non dargli problemi.

E poi alla loro porta si era presentata la Salvezza, dichiarando che sapeva benissimo che vivevano nel terrore e che poteva far smettere di far discutere i cittadini terrorizzati.

«Se la Salvezza gli ha già detto cosa dobbiamo fare, a cosa ci serve una certificazione?», insistette Virginia, annoiata, mentre una signora faceva loro strada per il Municipio di Venezia.

«Queste persone vivono nel terrore, dobbiamo tranquillizzarle che risolveremo questo macabro caso», ribatté Noel.

«Prego», la segretaria gli fece cenno di entrare pure nell’ufficio dell’assessore.

Ad attenderli c’era un uomo elegante molto anziano, gobbo, con pochi capelli in testa.

«Buongiorno, agenti Jones e Ferraro, siamo qui per conto della Salvezza».

«Già, mi è stato riferito», rispose l’uomo, stringendo loro debolmente la mano.

Li guardava come se non si fidasse.

«Assessore Pietro D’Amico. Mi è stato riferito che potete far finire la storia dei cimiteri una volta per tutte».

«Esatto, abbiamo bisogno della sua certificazione», rispose Noel cordialmente.

Ma l’uomo non sembrava ancora incline ad abbandonare lo sguardo diffidente. «I vostri capi non hanno dato ai miei segretari spiegazioni esaurienti sulla vostra organizzazione».

«È dovuto al fatto che la Salvezza è un’organizzazione governativa segreta».

Virginia restava in silenzio e cercava di memorizzare tutte le risposte di circostanza che dava Noel.

«Nome poetico per un’organizzazione», contestò l’assessore.

Noel cercò di sorridere anche era spazientito davanti a tutta quella reticenza. Virginia iniziava a capire il motivo per cui quell’uomo non avesse fatto avere loro le certificazioni del caso via email: non si fidava.

«Chiariamoci: chiederle una certificazione è stata una formalità, posso scavalcarla quando voglio», sentenziò Noel, rinunciando alle buone maniere.

Virginia decise di intervenire e si alzò sulle punte dei piedi per sussurrare all’orecchio del collega: «Zurzo ti ha detto di mantenere la discrezione!».

«Guarda e impara, tesoro», ribatté Noel. «Vogliamo la certificazione, sennò la facciamo contattare da chi di dovere».

L’uomo non contestò più, facendo pensare ai due che si fosse arreso.

Ma poi aprì un cassetto della sua scrivania, tirò fuori una pistola e la puntò loro addosso.

Virginia sbiancò dalla paura, mentre invece il collega guardò in cagnesco l’uomo.

«Adesso che cazzo sta facendo?».

«Lavorate con quei sociopatici?», sbottò l’uomo, alzando la voce e saltando in piedi. «Abbiamo finito ieri di pulire il sangue dall’ufficio del mio collega! La nostra omertà è finita», proclamò con disgusto.

Noel tirò fuori prontamente la pistola dalla tasca della giacca e la puntò contro l’uomo.

«Butti la pistola o i suoi colleghi dovranno pulire il sangue anche dal suo ufficio».

«Ehm… Noel», lo richiamò debolmente Virginia. Se non fosse che aveva paura che precipitasse la situazione, gli avrebbe sbraitato dietro. Con quelle affermazioni non faceva altro che incattivire l’uomo.

«Uccidetemi pure, farei qualunque cosa per far sparire almeno due di voi».

L’uomo fece fuoco ma Noel riuscì a scansare Virginia, spingendola contro il muro, e mentre si buttava a terra sparò a sua volta in direzione della mano dell’uomo. Lo schivò per un pelo ma lui buttò comunque la pistola a terra.

Nonostante fosse furiosa con lui Virginia ammirò la sua prontezza di riflessi.

«Vogliamo solo aiutarvi, maledizione!», tuonò Noel, e sparò un altro colpo per costringerlo a restare immobile e non tentare di raggiungere la pistola.

«Noel, falla finita, cazzo!», sbottò Virginia, rialzandosi in piedi dopo essere ruzzolata contro il muro.

«Forse non ti è chiaro quello che è successo, Virginia, ha cercato di spararci!», ribatté il collega, incenerendo ancora l’uomo che si era rannicchiato contro la scrivania, pronto ad essere ucciso.

«Non vedi che è spaventato! Quei robot hanno seminato il panico da queste parti!».

Noel gli rivolse un’occhiata irritata, ma poi decise di allentare l’aggressività.

«Le consiglio di ringraziare la mia comprensiva e cocciuta collega se non le sparo in testa all’istante».

Virginia alzò gli occhi al cielo. «Ma smettila», ringhiò, e si avvicinò all’uomo ancora seduto a terra.

«Le abbiamo detto la verità, non vogliamo farle del male, solo fermare le persone che vi hanno minacciato. Sappiamo quali saranno i loro prossimi obiettivi, se ci date le certificazioni renderete tutto più facile!», interloquì con voce dolce e il più rassicurante possibile.

L’uomo inspirò, si alzò in piedi e recuperò dei fogli da una pila di documenti poggiati sulla scrivania.

«Sono questi. Se il suo collega non avesse detto che potete scalvarci quando volete e che sarei stato contattato da chi di dovere, non mi sarei allarmato e tutto ciò che non sarebbe successo», chiarì l’uomo, puntando gli occhi furiosi verso Noel, che ricambiò con un sorriso a denti stretti.

«Ora sarebbe colpa mia? La paranoia vi ha fottuti il cervello!».

«È così, ci sono i nostri figli e i nostri nipoti in città! Hanno diritto ad una comunità tranquilla, anziché scoprire che le bare dei loro nonni sono state aperte!», proruppe l’uomo bruscamente.

Virginia capì il risentimento che doveva provare quella persona, così come tutti gli altri cittadini.

«Ci terremo in contatto per aggiornarla sui risvolti», concluse Noel, ancora un po’ duro.

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I due agenti congedarono l’uomo e s’incamminarono verso l’uscita dal municipio.

Il ragazzo camminava a passo svelto e Virginia dovette rincorrerlo. Ribolliva ancora di rabbia, non sapeva neanche da dove cominciare per esprimere al collega il suo dissenso.

Ad aspettarli fuori c’era Gabriele.

«Cosa ci fai qui?», chiese il ragazzo.

«Sono passato a prendervi, Zurzo mi ha scritto, dobbiamo andare a studiare l’ambiente del cimitero, e mi ha anche detto che non c’era bisogno della certificazione poiché un altro assessore ce l’ha inoltrata via email».

«Oh, fantastico vedere le cose smuoversi all’ultimo», commentò sdegnato Noel. Se Zurzo l’avesse comunicato prima non sarebbe avvenuto quello spiacevole incontro al Municipio.

«Già, se l’avessimo saputo venti minuti prima avremmo evitato una scenata da film western», ribatté Virginia, guardando apertamente in direzione di Noel.

«Se hai qualche problema con me, Virginia, dimmelo», ribatté lui, infastidito.

Gabriele li guardò sorpreso. «È successo qualcosa?».

«Sì, ci mancava poco che questa testa calda sparasse ad un uomo innocente!», esclamò Virginia.

«Cosa?», Gabriele si voltò verso Noel.

«Dimentichi un particolare, quell’uomo ci ha sparato!».

«Sparato?», gli fece eco il collega, ma di nuovo nessuno lo ascoltò.

«Perché tu hai questo dannato modo di porti con chiunque! Come se tutto il mondo fosse nemico!».

«Togliti dalla testa il pensiero che accetterò contestazioni da te, sono io il tuo supervisore!».

Noel si voltò di scatto e superò il collega, e lo stesso fece poco dopo Virginia, andando nella direzione opposta.

Gabriele rimase basito per la quantità di parole che si erano gridati i due, sorpreso di non essere nemmeno riuscito a farsi dire cos’era successo tant’erano presi ad urlarsi contro.

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I robot della Rivalsa si sarebbero recati al cimitero di Venezia alle cinque.

Al pubblico veniva chiuso alle quattro e mezza e da quel momento in poi soggetti come loro erano liberi di introdursi e fare i loro lavori illeciti.

Dopo la discussione con Noel Virginia si recò al San Michele per partecipare all’ideazione del piano insieme al team di agenti. Notando il favoloso cimitero sull’acqua del capoluogo veneto, si sentì quasi in colpa a soggiornare a Venezia senza potersela godere davvero, come se stesse commettendo un crimine nei confronti dell’arte e della cultura.

Come se non bastasse, era preoccupata per la missione. L’unica persona con cui aveva stretto amicizia, se così si poteva definire, era Noel, ma se era questo il suo modo di reagire alle discussioni lo avrebbe lasciato a crogiolarsi nella sua asprezza. Di certo non sarebbe corsa da lui per chiedergli come sopravvivere sul campo di battaglia.

Perciò fece un giro in centro, pranzò nel primo ristorante veneto nel quale incappò e indugiò molto, badando però a non esagerare col cibo o il vino.

Non avendo voglia di tornare in hotel dove avrebbe potuto incrociare Noel, che forse avrebbe capito al volo solo guardandola che era in ansia per il lavoro, decise di visitare Piazza San Marco. Passeggiò fin quando non ricevette un messaggio da Zurzo che le ricordava di indossare abiti speciali per la missione.

Il tempo di tornare in motel per indossare gli appositi vestiti, come il giubbotto antiproiettile, e uscì di nuovo.

Lei e gli altri agenti si recarono al cimitero per prendere ognuno le sue postazioni.

«Perché Venezia?», chiese a Gabriele poco prima che si dividessero.

Lui fece un sorriso misterioso. «Beh, forse perché è una città magica».

«Come, scusa?», fece Virginia, divertita. Aveva appena finito di accettare che esistessero ibridi umani-robot che minacciavano un’estinzione di massa per impossessarsi del mondo o una ragazzina che aveva visioni sul futuro, ma parlare di città magiche andava al di là della sua nuova concezione di normalità.

«Venezia, Roma e Milano sono le città considerate più magiche dal dipartimento di parapsicologia. Per questo quando abbiamo scoperto che la Rivalsa ha iniziato a disseppellire cimiteri proprio a Venezia, non ci siamo sorpresi»,

«Ma perché? Cosa vi fa pensare che proprio queste tre città siano magiche?», insistette Virginia, dubbiosa se pensare o meno che non solo gli studiosi del dipartimento di parapsicologia, ma tutti i dipendenti della Salvezza fossero dei fanatici creduloni.

«Perché Giuditta le nomina spesso, nei suoi sproloqui. E non è tutto…», Gabriele esitò, come se volesse far crescere la suspense.

«Cosa?», fece Virginia, moderando a stento la curiosità.

«Giuditta è nata a Venezia, ma quando è stata adottata si è trasferita a Milano. Dopo i suoi primi episodi psicotici, i genitori adottivi hanno pensato di farle cambiare aria, e l’hanno portata a Roma. Forse per lei sono città magiche perché hanno rappresentato momenti diversi della sua vita, Venezia la nascita, Milano l’infanzia, e Roma gli ultimi anni di follia adolescenziale… Ma noi abbiamo avuto spesso missioni in queste città».

Virginia era stupita. Giuditta D’Antei era un mistero sensazionale.

«Sei anche te fissato come il dipartimento di parapsicologia?».

Gabriele rise. «No, ma a lavorare a stretto contatto con Giuditta ho imparato a memoria tutta la sua vita».

Il collega la congedò per andare nella sua postazione.

Lei e gli altri quattro agenti avevano ognuno una posizione nel cimitero, ben nascosti dalla vista di chi entrava.

Per più di venti minuti, non successe assolutamente nulla. Virginia sentì tutto il tempo il cuore battere, come se stesse per scoppiare un cataclisma, come se fosse la fine del mondo, e lei fosse al centro di una Terra pronta ad esplodere.

Aveva una paura cieca e la fiducia nelle sue capacità era più fragile che mai.

Pensò ad Achille che nei migliore dei casi avrebbe riso vedendola in procinto di una missione all’ultimo sangue con delle persone pericolose.

Guardò più volte l’ora sul display, domandandosi quando sarebbero arrivati i robot.

Aveva la tachicardia, lo stomaco le faceva male, il fiato era diventato corto.

Provò a fare un gran respiro ma si rivelò inutile.

Appena i robot fossero riusciti a disseppellire i cadaveri sarebbe scoppiato il finimondo lì, e lei era l’anello debole del gruppo.

Si sporse appena dall’albero dove si era nascosta per spiare l’entrata e capire se fosse arrivato qualcuno. Il cimitero era vuoto però vide meglio Noel, che guardava in sua direzione. Non avrebbe saputo dire cosa gli stesse passando per la testa, se la fissava in attesa che avesse una crisi isterica o addirittura preoccupato.

Fatto sta che la ragazza rigirò il capo.

Non doveva dargli la soddisfazione di dimostrargli quanto fosse ansiosa, specie dopo le due conversazioni che avevano avuto in mattinata, una sull’aereo quando aveva insinuato che era un caso troppo duro per lei, sia quando lo aveva criticato per i suoi modi bruschi.

Una parte di lei, quella più sfiduciata, aveva iniziato a sussurrarle che sì, forse era davvero un caso troppo difficile per una recluta, ma questa era la Salvezza, o combatti o resti in panchina, non c’è un’opzione C.

Quando qualcosa si mosse nel cimitero, aveva quasi abbandonato la speranza di vedere sparire il peso sullo stomaco.

Si sporse lievemente: vide che persone dall’aspetto assolutamente normale erano appena entrate nel cimitero. Un lieve rumore attirò la sua attenzione: Noel la stava incenerendo con lo sguardo, facendole capire che doveva rimanere il più nascosta possibile.

Virginia si tirò indietro e si immerse di nuovo tra gli alberi.

Il cuore ricominciò a battere forte: c’era così tanto silenzio nel cimitero che temette che qualcuno potesse sentirlo e scoprirla.

Sentì dei forti rumori e non resistette alla tentazione di sporsi di nuovo: i robot, non molto lontano da dove si era nascosta lei, avevano cominciato a scavare a mano nuda, dimostrando una grande forza.

Erano sei in tutto.

Lei e i suoi compagni erano in cinque.

L’inferiorità numerica avrebbe potuto essere un terribile svantaggio, specie considerato il fatto che nella sua squadra c’era una principiante…

La suoneria del cellulare la fece sussultare, facendole quasi schizzare il cuore dal petto.

Tirò fuori il cellulare e guardò il nome: Achille.

Alzò gli occhi chiedendosi se Noel la stesse uccidendo con lo sguardo per la sua ingenuità ad aver lasciato il telefono accesso, ma quello che vide fu un’espressione allarmata.

Sperò che i robot non avessero sentito il rumore: purtroppo parevano dotati di un udito migliore di quello degli umani, infatti appena si sporse notò che un uomo stava camminando diretto verso di lei.

Cominciò a tremare per la paura.

Era la fine, l’avevano scoperta.

Noel intervenne tempestivamente: uscì fuori dal suo nascondiglio e sparò al robot, anche se ciò significava mandare a monte il piano.

Lui schivò con rapidità sovrumana il colpo.

Lo sparo attirò gli altri robot, e allo stesso modo anche i suoi compagni si trovarono costretti a dover uscire.

Virginia capì che era arrivato il momento: non poteva restare ferma, doveva intervenire.

Sparò a sua volta in direzione del robot che aveva schivato il colpo di Noel: lo colpì in pieno petto, ma prima che potesse sparargli di nuovo si era già fiondato sul suo collega, e a quel punto era impossibile sparare sperando di non colpire il ragazzo.

Presto divenne il minore dei suoi problemi: un robot aveva deciso di prendersela con lei, senza fare il minimo rumore le si avvicinò e le tirò un pugno che le fece quasi perdere l’equilibrio. La pistola volò ma lei cercò di rimanere in piedi. Si sforzò di pensare che si trovava semplicemente nel mezzo di un allenamento di kickboxing.

«Virginia, arrivo!», urlò Noel, ma vedendola cominciare a lottare servendosi delle mosse che aveva imparato rimase a bocca aperta. Siccome il robot con cui aveva lottato gli fu di nuovo addosso si concentrò unicamente su di lui.

Lottare senza paura era molto più efficace che lasciarsi dominare dal panico: quanto a forza fisica il robot ne aveva più di lei, ma in compenso non era un esperto dell’arte del combattimento.

Tuttavia il suo avversario riuscì ad appropriarsi della pistola e Virginia lo guardò turbata puntarle l’arma contro. Prima che potesse sparare qualcuno aveva già fatto fuoco, distruggendogli il cranio.

Virginia si voltò verso Noel: non fece in tempo a sorridergli grata poiché un altro robot attirò la loro attenzione battendo le mani.

La ragazza lo aveva già notato: era rimasto in disparte mentre lei e i suoi compagni lottavano cinque contro cinque con i robot. Si era limitato ad osservarli e ad annuire, a metà fra il soddisfatto e il divertito. E questo suo modo di fare l’aveva inquietata ancora di più. Era molto alto, aveva carnagione scura e capelli folti, ricci e neri,

«Complimenti, gli agenti della Salvezza sono fastidiosi come mosche», proruppe, con tono estremamente sarcastico.

Noel non perse tempo e lo fronteggiò subito per combatterlo, mentre gli altri compagni mandavano avanti le rispettive lotte.

Virginia vide il collega perdere pietosamente: il robot era incredibilmente forte e oltre a questo aveva le loro stesse conoscenze di arti marziali. Dopo aver schivato più e più volte i pugni e i calci di Noel riuscì a ribaltarlo.

Virginia prese la pistola e gli sparò in testa, due o tre volte: le avevano insegnato che quello era il punto debole di ogni robot, se gli facevi saltare in aria il sistema centrale erano finiti.

Eppure l’uomo la guardò e assunse un’espressione di sfida.

«Credi che qualche proiettile basti con uno con me?».

La paura la congelò solo per un secondo, poi si lanciò anche lei nella lotta: l’uomo bloccò ogni suo colpo con estrema facilità.

«Fammi indovinare: nuova arrivata?», detto questo la colpì in viso.

Virginia fece un volo di dieci metri. Una volta atterrata sentì la testa girare, non aveva mai sentito un dolore così acuto e destabilizzante al naso.

«Cazzo…», Noel si tirò di nuovo in piedi per fermarlo, ma il robot si accorse subito di lui, lo afferrò per il collo e lo fece volare contro una lapide. A quel punto perse definitivamente i sensi.

«Fossi solo l’ultima ruota del carro potrei capire, ma sei anche donna», l’uomo tornò da Virginia, la afferrò per il collo, la sollevò di peso e la scaraventò contro una cripta. Virginia ci precipitò contro di schiena, senza neanche il fiato per urlare.

Ora sentiva dolore lungo tutta la spina dorsale.

«Conosci la Bibbia? Sai il trattamento delle donne?», le domandò il robot, avvicinandosi. «Non è esattamente cavalleresco, non lo è mai stato. Nel Deuteronomio si parla di leggi specifiche: se una donna mente sulla sua verginità, si macchia di un grave peccato e viene lapidata».

Virginia non riuscì a rispondere: era ancora bloccata a terra.

«Il senso di violenza di voi umani è ironico». Il robot si piegò sulle ginocchia e raccolse alcuni sassi. «Mi chiamo Yoseph, comunque».

Prima che potesse sferrare la sua prossima mossa Gabriele gli sparò in testa.

Virginia lo guardò disperata: tanto preso dalla sua battaglia, non si era accorto che aveva già provato a sparare in testa ad Yoseph, e non aveva funzionato.

L’uomo si girò verso di lui e fece un sorriso diabolico.

Vedendo i suoi compagni sul punto di perdere, decise di vendicarsi.

«Ricordate che questa è la conseguenza della Salvezza quando si intromette».

Sollevò a peso morto Gabriele e iniziò a camminare, incurante che il ragazzo scalciasse .

Virginia vide qualcuno dei colleghi cercare di intervenire ma venne fermato da qualche altro robot.

Il dolore alle articolazioni si estese, perciò chiuse gli occhi e svenne.

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Virginia si sentì scuotere e pensò di urlare a chi le premeva le spalle di fare attenzione poiché avvertiva dolore ovunque. E perché, poi? Colpa dei voli che le aveva fatto fare il robot… Il ricordo atroce di Gabriele che scompariva insieme a Yoseph le fece sbarrare gli occhi.

«Allora sei viva, cazzo…», mormorò Noel, sopra di lei.

Virginia si tirò lentamente su, sforzandosi di ignorare il dolore alle articolazioni.

«G-Gabriel…».

La ragazza si guardò intorno per cercare di capire cosa fosse successo, magari anche sperando di vedere il volto di Gabriele, rassicurandola che tutto era stato sistemato e che i buoni vincono sempre.

Purtroppo, però, di Gabriele non c’era traccia.

Noel sospirò. «L’hanno preso».

«Cosa?», sbottò Virginia. Cercò di alzarsi ma appena si mise in piedi rischiò di ruzzolare a terra. Noel prontamente la resse.

«Adesso tu andrai in ospedale a farti vedere, io cerco di capire cosa fare con Enrica…».

«Chi è Enrica?», domandò Virginia, spaventata dalla prospettiva che avessero perso Gabriele.

«La spia nella Rivalsa. È l’unica che può salvare Gabriele, adesso».

«E se fosse già morto?», insinuò la ragazza, col tono vagamente disperato.

«No, è impossibile, l’avrebbe ucciso sul momento…», rispose in fretta Noel, ma Virginia vedeva che tratteneva a stento il terrore.

«Noel?», gracchiò.

«Che c’è?», sbottò lui, stressato.

«È colpa mia!», esclamò, liberando il rimorso che aveva iniziato ad attanagliarle lo stomaco.

Uno degli agenti si voltò verso di loro e la guardò con sguardo effettivamente accusatore.

«Chiama Zurzo, muoviti!», gli tuonò Noel. L’uomo fece come gli disse, controllò ancora che gli altri agenti si stessero riprendendo e poi tirò fuori il telefono.

«No, è colpa mia», iniziò il ragazzo, a fatica. «Avrei dovuto ricordartelo di spegnere il telefono. Sono il tuo supervisore e quella di oggi era la tua prima missione».

Virginia lo guardò ancora disperata. Si vedeva che il corso degli eventi lo stesse mettendo in difficoltà. C’era la possibilità che arrivati a fine giornata avrebbero detto addio a Gabriele.

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Gabriele aprì gli occhi: vedeva sfocato. Intontito, impiegò qualche minuto prima di mettere a fuoco il luogo circostante. Era legato ad un lettino in una sala chirurgica, circondato da medici.

Non aveva nemmeno più la sua camicia, era preparato come se dovesse essere sottoposto ad un’operazione. Allarmato, provò a tirare gambe e braccia, ma era inutile, non aveva via di scampo.

Gli scienziati che avevano abbracciato, chissà per quale motivo, la causa della Rivalsa erano famosi per i loro esperimenti sugli esseri umani.

Di solito li facevano sulle persone predisposte per essere trasformate in robot; ma lui non era predisposto, aveva fatto appositi test alla Salvezza, quindi cosa volevano da lui?

Ma se c’era una cosa che aveva imparato lavorando alla Salvezza, era che la Rivalsa aveva sempre nuovi progetti, piani, non era raro che gli saltasse in mente qualche nuova idea che mettesse in difficoltà i nemici nel prevedere le sue mosse.

«Cosa volete farmi?», domandò, ma nessuno dei medici lo ascoltò.

Irritato, decise di alzare i toni. «Parlo con voi, scienziati del cazzo! Cosa volete?».

«Niente più che il tuo cuore», lo illuminò una dottoressa con un luccichio diabolico negli occhi.

Gabriele sgranò gli occhi. L’ansia lo travolse, finché un’altra dottoressa si voltò e riconobbe, per quel poco che poteva vedere del suo viso coperto da una mascherina, Enrica. Era lei, la sua amica, la spia, poteva rilassarsi perché tanto lei lo avrebbe salvato. La donna, in realtà, aveva uno sguardo serio e letale, ma Gabriele si sforzò di pensare che stava solo recitando la parte.

Eppure i chirurghi sembravano tutti pronti per l’operazione da fare anche mentre lui era cosciente.

Gabriele era ufficialmente terrorizzato, ma un secondo prima che lo accerchiassero cominciò a suonare l’allarme.

I dottori si guardarono tesi.

«Il paziente?», domandò uno.

«Lasciamolo qua, torniamo più tardi a finire il lavoro!», propose Enrica.

«Non potete lasciarmi qui! Che sta succedendo?», protestò Gabriele, recitando la parte del ragazzo spaventato all’idea di essere lasciato solo.

I medici lo ignorarono e si affrettarono tutti a lasciare la sala. Appena rimase solo Gabriele iniziò a tirare con tutte le sue forze gambe e braccia per liberarsi ma non ce la fece e si ritrovò a sperare che il piano di Enrica per salvarlo non dipendesse da questo.

Passarono alcuni lunghissimi minuti, che Gabriele non seppe calcolare, quando sentì dei passi e davanti ai suoi occhi si materializzò il volto di Enrica.

«Sei un coglione, un povero coglione! Sto mettendo a rischio la mia cazzo di posizione, se mi sgamano e decapitano il mio spirito ti perseguiterà per il resto della tua fottutissima vita!». La dialettica colorata di Enrica era famosa, di solito strappava un sorriso o un momento di imbarazzo ai colleghi, ma in quel momento a Gabriele fece provare una vera e propria sensazione di gioia.

«Sei la migliore, Enri, la migliore!», gridò euforico.

«Abbassa la voce, scemo!», lo rimbeccò lei, liberandolo. «Ora muoviti: mi sono infiltrata nel sistema di allarme per farlo scattare a quest’ora, durerà dieci minuti, e ho mandato in tilt tutte le telecamere della Rivalsa. Se inizieranno a sospettare che c’è una spia nell’organizzazione ti farò inculare!».

Gabriele scoppiò a ridere mentre scendeva dal lettino. «Toglimi una curiosità! Cosa volevano da me? Non sono predisposto, non possono costruire un robot con la mia linfa vitale!».

«Non lo so, non ce l’hanno detto, in realtà, solo che volevano il tuo cuore. Forse vogliono farci un souvenir», ipotizzò Enrica, caustica.

La donna gli diede sbrigativamente le istruzioni per scappare da un’uscita sul retro, da dove nessuno gli avrebbe braccato la strada, ma nel caso fosse incappato in qualcuno gli lasciò anche una pistola.

«Ti adoro, tesoro!», enunciò ancora Gabriele.

«Fottiti!». Enrica uscì trafelata dalla sala perciò anche il ragazzo si apprestò a percorrere la sua strada verso la fuga. L’amica aveva messo a rischio la sua posizione per lui ma, al di là di questo, non poteva proprio permettersi di lasciarci le penne quel giorno, quando appena ventiquattr’ore prima aveva detto a Noel che voleva sopravvivere e voleva un grande premio una volta che avrebbero vinto la guerra.

Lui ci credeva ancora, avrebbe lottato per meritarselo e avrebbe fatto in modo che anche l’amico nutrisse la stessa speranza e non si abbandonasse al pessimismo.

Cominciò a correre seguendo le indicazioni di Enrica: l’ambiente era esattamente come glielo aveva descritto e non incrociò nessuno.

Ma poi si scontrò con una dottoressa che correva proprio come lui.

La donna sgranò gli occhi, subito dopo gli tirò un pugno in faccia e sfoderò le sue abilità da karatèta. Era una vera furia, come se fosse indemoniata, e Gabriele impazzì per non farsi sopraffare dal suo avversario che faceva le capriole anche con la gonna stretta e i tacchi. Ma non voleva tornare indietro, perciò appena riuscì a tirare fuori la pistola le sparò.

La colpì al braccio e la donna urlò dal dolore. Vedendo il sangue fuoriuscire e la dottoressa piegarsi in due, capì che era umana. Una delle persone che si erano schierate volontariamente con la Rivalsa. Non poteva ucciderla.

Gli sarebbe piaciuto interrogarla o portarla da Zurzo, era uno degli obiettivi principali della Salvezza capire cosa passasse per la testa a quelle persone che si erano alleate col nemico e Enrica non era mai riuscita a dare profili psicologici dettagliati su quei pazzi, ma il tempo stringeva e doveva muoversi.

Perciò la superò e ricominciò a correre con il cuore in gola, sperando che la fortuna decidesse di girare dalla sua parte.

Il ragazzo riuscì ad uscire dall’edificio ma la sua fuga non era passata inosservata come lui o Enrica avevano sperato.

Al contrario, era stata pianificata.

«Non mi fa piacere che per scoprire se quella troia fosse o meno una spia il prigioniero sia scappato», dichiarò Emilio, irrequieto. Era il figlio del capo della Rivalsa, Gionata Cattaneo, ed era nuovo alle missioni e operazioni dell’organizzazione.

«Mi sono già battuto con quel pivello, non è una minaccia. Mi occuperò personalmente di lui e dei suoi amichetti in un’altra occasione», rispose Yoseph con disinteresse, ma anzi piuttosto soddisfatto che la donna era caduta nella sua trappola confermando le sue teorie.

Sospettava di Enrica da tempo, rapire un agente della Rivalsa gli aveva permesso di mettere alla prova la presunta lealtà della donna.

«Intendi dire un’altra volta in cui interverranno per sabotare una delle tue missioni?», ribatté Emilio, sdegnato.

Il robot inspirò: quasi nessuno, nell’organizzazione, provava simpatia per quel giovanotto seduto su un trono importante. «L’importante ora è che sappiamo chi è la spia».

«Ordino il macello», sentenziò Emilio.

«Aspetta! Possiamo usarla», ipotizzò Yoseph. Oltre che potente fisicamente, era un astuto stratega. Era uno dei primi robot 3.0, più forte di quelli domestici, più forte di quelli animati con la linfa vitale delle persone: per costruirlo c’erano volute risorse, naturali e tecnologiche, ed era stato uno dei primi esperimenti riusciti nella nuova linea di robot costruita dagli scienziati della Rivalsa. Non si sapeva quando sarebbero arrivati altri come lui, ma già il fatto di essere operativo, sia sul piano dei complotti che su quello dell’azione costituiva un grande vantaggio per la Rivalsa.

«Usarla? Ci vuole una punizione esemplare per quelli come lei!», si oppose Emilio. Era animato da un odio viscerale per i nemici e questo spesso gli precludeva la ragione o la furbizia. Il padre, che orchestrava l’organizzazione ma non le singole operazioni, non aveva ancora capito quanto quel ruolo fosse inadeguato per il figlio.

«L’avrà, ma prima potremmo sfruttarla per passare informazioni false alla Salvezza o spingerli dove vogliamo».

«Possiamo manipolarli», ragionò per la prima volta Emilio.

Yoseph sorrise. «Enrica è il nostro cavallo di Troia».

I due non avevano idea che la ragazza, d’altro canto, aveva in mano la soluzione per sabotare il piano della Rivalsa di fare nuovi esperimenti sui morti.

Durante l’oscuramento delle telecamere e il suono dell’allarme non aveva solo fatto scappare Gabriele, era anche corsa ad iniettare una sostanza nei corpi dei cadaveri rendendoli ancora più impossibilitati a rispondere agli stimoli degli scienziati.

Gli esperimenti sarebbero falliti tutti.

Contenta, Enrica comunicò il risultato alla Salvezza solo a fine serata.

Non sospettava che la sua copertura era saltata, che tutta la Rivalsa sapeva che era una spia, ma quantomeno era riuscita per l’ennesima volta ad aiutare in modo significativo la sua organizzazione.

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Virginia andò incontro a Noel che si era appena preso un caffè doppio alla macchinetta automatica dell’ospedale. Il ragazzo la guardò in faccia e scoppiò a ridere.

«Le tue prime ferite di guerra, Virginia».

Lei lo guardò interdetta. «Sei allegro?».

Lui bevve un lungo sorso di caffè prima di risponderle, senza perdere il sorriso. «Sono sollevato. Enrica ha aiutato Gabriele a scappare e Cheyenne non mi ucciderà».

«Chi è Cheyenne?», domandò Virginia, sorridendo anche lei.

«L’unica ragazza, oltre te, nel nostro dipartimento. Non mi avrebbe mai perdonato se non le avessi riportato Gabriele intero».

La bionda sospirò, anche lei infinitamente più serena. «Almeno una vittoria l’abbiamo avuta», commentò, ripensando a quando Yoseph li aveva massacrati. Nutriva una gran rabbia. E, dovette ammettere a sé stessa, un vago desiderio di vendetta.

Ma il sorriso allegro di Noel la spiazzò. «Non è tutto! Quando ha fatto scappare Gabriele Enrica ha anche iniettato nei cadaveri che la Rivalsa aveva già rapito una sostanza dannosa».

«Cosa?»

«Quindi il piano di Zurzo di far fallire gli esperimenti della Rivalsa può ancora funzionare!», continuò Noel, esternando tutto il suo entusiasmo al pensiero che non erano stati sconfitti dalla Rivalsa.

«Ma se torneranno a prendere i cadaveri del San Michele, alcuni esperimenti potrebbero funzionare!».

«La nostra speranza è che la Rivalsa, vedendo la maggior parte dei cadaveri non rispondere ai loro stimoli, lasci perdere il progetto. Enrica è riuscita a fare ciò che noi non siamo riusciti a fare! Non sapendo i cadaveri precisi che i robot avrebbero rubato, ci siamo messi a rischio, aspettando che li disseppellissero per poi avvelenarli. Era di base un piano rischioso, ovviamente non potevamo tirarli fuori tutti dalle bare del San Michele, danneggiarli e poi rimetterli apposto. Ma il rapimento di Gabriele ha spinto Enrica ad ingegnarsi per farlo scappare, e così ne ha approfittato per rischiare fino in fondo».

«Hai detto troppe volte la parola cadavere», lo interruppe Virginia, disgustata.

Noel esitò. Mentre aveva atteso che i dottori la lasciassero andare, c’era stata un’altra cosa sulla quale aveva riflettuto.

Vedendo che non trovava le parole, Virginia sorrise di cuore e disse: «Anche a me dispiace per oggi. Non volevo giudicarti, ma capisco che questo lavoro ti abbia reso duro e impulsivo».

«Ehi», la contestò lui.

La ragazza ridacchiò di nuovo. «Puoi insegnarmi a lottare, ma ti re-insegnerò ad essere più cortese».

«Non è un lavoro basato sulla cortesia», rispose lui, di nuovo con quel tono pessimista.

«Ce la faremo, vedrai», rispose lei, con quel suo sguardo un po’ fiducioso e speranzoso di chi, secondo Noel, ha visto troppi pochi orrori per essere ottimista.

«Dillo al robot che ci ha strapazzati oggi», rispose l’uomo, bevendo l’ultimo goccio di caffè.

«Appena lo rivedo gli apro il culo».

Lui scoppiò a ridere, e la ragazza pensò che era definitivamente il suo giorno fortunato: anche se aveva qualche livido, quantomeno era riuscita a far ridere Noel.

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Quando quella sera Virginia tornò a casa, Achille fece due occhi a palla. Aveva preparato un lungo discorso da sbatterle in faccia per avergli lasciato in affidamento Ginevra per tutto il giorno, ma i lividi sul suo viso furono sufficienti per sconvolgere sia lui che la sorellina.

«E se dovessi avere un trauma cranico?», sbottò Ginevra, che aveva una grande propensione all’esagerazione.

«Sono già stata in ospedale, sto benissimo».

«Non abbiamo i soldi per un avvocato, ma se è vero che lavori, potremmo prenderne uno settimana prossima e fare causa», ipotizzò Achille, valutando come al solito tutto sotto l’ottica del guadagno di soldi.

«Non posso denunciare niente, sono rischi del mestiere».

«Mi puoi ricordare che mestiere fai?», chiese per l’ennesima volta Ginevra, confusa.

«Te l’ho già detto, sono infermiera in un’agenzia che lavora direttamente contro i criminali e i terroristi».

Il fratello si chiese mentalmente se fosse il caso di preoccuparsi: e se la sorella era stata presa in una centrale di polizia? Avrebbe avuto problemi con l’eroina?

«Senza laurea?», insistette Ginevra.

«Senza laurea».

«Guadagnerai bene, almeno?», riprese Achille.

«Sì», mentì lei. In realtà non aveva idea di quanto l’avrebbe pagata la Salvezza. «Vado a fare la doccia», li liquidò e salì al piano di sopra.

Avviandosi verso la sua camera incrociò Paride.

Lui era appena uscito dalla stanza del nonno.

«Com’è andato il primo giorno?».

Virginia scosse le spalle entrando nella sua camera. «Non è esattamente il lavoro che avevo sognato. Salvo pur sempre delle vite, certo… Ma non è come fare il dottore».

«Sono sicuro che diventerà più facile», rispose lui rimanendo sulla soglia della porta.

Virginia ricambiò il sorriso e si sedette sul suo letto.

«Mi sento comunque come se stessi rinunciando alla vita che desideravo», gli confidò. Non era abituata a confidarsi con un robot, ma in quel momento le parve l’unico a cui poteva fare quelle confessioni.

Non si sentiva compresa da nessuno.

I colleghi erano tutti agenti navigati, lei invece era appena uscita dal liceo scientifico e ogni tanto la travolgevano i classici problemi degli adolescenti che si affacciano per la prima volta alla vita adulta.

Era un lavoro difficile, ma ciò era solo la punta dell’iceberg poiché i problemi che non la facevano dormire erano tutti interiori.

Paride fece un passo avanti, poggiandosi al mobiletto dove la ragazza teneva tutti i libri di medicina che l’avevano aiutata a prepararsi ai test d’ingresso, e Virginia si sentì come se la loro confidenza stesse diventando più profonda.

«Credi che saresti stata felice all’università?».

Virginia lo guardò perplessa. «Certo. Era il mio sogno: sarei diventata medico, ti rendi conto? Ora ho detto addio per sempre a quella carriera… E so che è sbagliato, so che non dovrei essere egoista, e furiosa con il corso degli eventi… E so che è stata una mia scelta… Eppure mi sento più infelice che mai», sospirò, ancor più avvilita per i pensieri che aveva tirato fuori.

«L’erba del vicino non è sempre verde», ribatté il robot con voce calma, sorprendendola. «Chi ti ha detto che all’università avresti trovato quello che cerchi?».

Virginia rimase interdetta. «Sono stata io».

«Non credi di esserti aggrappata ad un’illusione? Medicina è dura all’università… Avresti studiato tanti anni prima di entrare nell’ambiente ospedaliero, non avresti esattamente iniziato dall’oggi al domani a salvare vite».

La ragazza non si era mai trovata di fronte un punto di vista così ben argomentato, la maggior parte delle persone si era limitata a dirle di lasciar perdere e basta.

L’unico che le aveva detto che medicina è una buona alternativa era stato proprio lui… Adesso, forse per rasserenarla, le stava praticamente dicendo l’opposto.

«Tu che ne sai?», ribatté perciò, poiché non le veniva in mente nessun’altra replica.

Paride fece un piccolo sorriso. «Non troppe, ma so che il tuo sogno di salvare le persone avrebbe impiegato una decina d’anni prima di avversarsi. Grazie alla Salvezza lo stai già facendo».

«Ma mi sarei costruita una carriera!», contestò Virginia.

«Tu cosa volevi? Fare del bene? O fare carriera?».

Virginia rimase di nuovo senza una risposta. «Sei fin troppo chiacchierone per essere un robot», borbottò, sconfitta.

Paride allargò il sorriso. «Buonanotte, Virginia. Sono sempre qui se hai bisogno di parlare con qualcuno».

La ragazza annuì e mormorò “Buonanotte”, pensando per un secondo di aver risposto male: i robot non dormivano. Ma lui se n’era già andato.

Virginia si preparò per fare la doccia continuando ad interrogarsi sulla natura di Paride.

La conversazione che avevano avuto l’aveva lasciata scossa: la contestava, aveva dubbi e opinioni, le consigliava e riusciva a farle vedere le cose da un altro punto di vista. Possibile che un robot, che dovrebbe essere nient’altro che una macchina, riuscisse ad apparirle così umano?

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Achille notò a malapena il giro di droga o i delinquenti che si aggiravano nel quartiere, guardò l’indirizzo, si assicurò che fosse giusto e poi si avviò per bussare alla porta di Namil.

Namil, cinquantenne, spacciatore da una vita, viveva in un rione di Roma denominato l’Esquilino. Era sempre stato fedele e presente per i suoi clienti, ma da qualche tempo era diventato scostante, schivo, rispondeva sempre a meno richieste e negava sempre a più persone.

Correva voce che si volesse ritirare; altri dicevano che avesse fatto amicizia con la polizia; altri ancora che volesse semplicemente cambiare vita.

Le voci giravano anche tra i tossici, ma se c’era una cosa sicura era che nessuno del giro, specie se importante come lo era diventato Namil, può tirarsi indietro e basta.

L’uomo conosceva segreti e storie di tante persone: un piano B per cambiare vita non era concesso a nessuno.

Achille aveva accettato subito quando il suo gruppo gli aveva assegnato il lavoretto, grazie al quale avrebbe fruttato un bel po’ di denaro. E alla domanda sul motivo per cui non ci volesse andare nessun’altro, gli avevano risposto apertamente che avevano paura.

Achille non aveva paura e se sistemare le cose con Namil gli avrebbe permesso di farsi notare in tal senso, era un motivo in più per farlo.

Quando bussò alla porta, passarono diversi minuti prima che qualcuno aprisse, come se l’inquilino stesse riordinando casa o, nella peggiore delle ipotesi, nascondendo gli scheletri nell’armadio.

Namil guardò dallo spioncino. Lui e Achille non si erano mai visti prima, quindi il ragazzo era avvantaggiato dal fatto che il suo viso non poteva indurre l’uomo a non aprire.

«Buonasera, mi chiamo Achille Ferraro».

Anche se non si conoscevano Namil lo guardò comunque diffidente. Era chiaro che la vita che aveva condotto gli avesse insegnato a proteggersi dal mondo con un’armatura di paranoia.

«Buonasera», rispose l’uomo, calmo, «ci conosciamo? In che modo posso aiutarla?».

«Oh no, non ci conosciamo, ma lei ha qualcosa che i miei amici vogliono. Qualcosa che ha promesso. Qualcosa che non vuole più dare…».

L’uomo inspirò profondamente. Aveva capito al volo perciò s’incupì con la stessa velocità.

«Ho esaurito la roba, sono spiacente», dichiarò con tono duro e fece per chiudere la porta in faccia al ragazzo.

Achille bloccò con un mano la porta. «Devo portare una risposta ai miei compagni. Dovresti saperlo, Namil… La fiducia è tutto nel lavoro».

«Stammi bene a sentire», ringhiò l’uomo, puntandogli aggressivamente un dito al petto, «non ho niente e non avrò niente neanche nelle prossime settimane, quindi fai girare la voce e non rompermi più i coglioni…!».

«Non mi devi toccare», sibilò Achille. La sua voce era un soffio, ma conteneva tutta la sua rabbia. I modi di fare dell’uomo, il fatto che gli avesse toccato bruscamente il petto, lo aveva irritato non poco.

«Devi levarti dai coglioni!», gridò ancora Namil, spintonandolo.

«Fottiti!», Achille gli piombò addosso.

Sentì un urlo acuto e femminile, qualcun altro era presente in stanza, ma non ci badò. Vedeva tutto rosso perciò cominciò a colpire l’uomo.

Con il lavoro non si scherza, pensò. La fiducia è tutto, urlò mentalmente. Non si tradiscono i compagni, si ripeté.

Quando si fermò, tornò a vedere la realtà circostante: l’uomo giaceva a terra e il suo viso era diventato una maschera di sangue.

Achille alzò lo sguardo e vide una donna, più o meno di trent’anni, dalla carnagione scura e i capelli scuri arruffati che lo fissava. L’aspetto estremamente salutare e dal look ordinato raccontavano una persona che non aveva nulla da spartire con il mondo della droga.

Lei era congelata e continuava a spostare lo sguardo spaventato dal ragazzo all’uomo steso a terra.

Achille continuò ad interrogarsi fin quando non scoppiò a ridere. «Ho capito: Namil voleva smettere perché si è trovato la donna!», esclamò, sarcastico, alzandosi in piedi. «È così, giusto? Volevi allontanarlo dal giro?», domandò, rivolgendosi a lei.

La brunetta non rispose.

«Le donne… Bianche, nere, siete tutte uguali. Battete un po’ le ciglia e gli idioti buttano la loro vita nel cesso».

La donna non rispose ancora: il suo sguardo era colorato dalla paura, ma anche dall’odio.

«Hai della droga in casa?», chiese Achille, annoiato.

Lei indicò con un dito una cassaforte attaccata al muro che fino ad allora il ragazzo non aveva notato.

«Sai come si apre?», domandò ancora.

La donna esitò a rispondere perciò Achille decise di passare alle maniere forti.

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